Fair Play
Nel corso della sua quasi cinquantennale esperienza artistica, Giorgio Laveri, pur variando il suo stile ed i campi in cui ha agito, ha mantenuto fedelmente una linea di pensiero. Linea composta da due elementi fondamentali ed imprescindibili.
Il primo è la vicinanza verso gli ultimi. Sarebbe fuori tempo e banale proporre un’arte visivamente incline e fedele alla rappresentazione della realtà per seguire la suddetta vocazione artistica non curandosi dei mutamenti radicali che hanno caratterizzato la storia dell’arte nel secolo scorso. Per questo come spesso accade è necessario un medium o una maschera per poter veicolare un messaggio in chiave attuale anche nascondendosi sotto immagini di opposta natura. Laveri nel suo lungo percorso artistico si è sempre affidato alla sua prima arte, il primo suo campo d’interesse, il suo primo amore. Il cinema. Qui entra in gioco il secondo elemento fondamentale. L’ironia. Tuttavia, nell’opera dello scultore savonese, questa non cede al rappresentare cinematograficamente un aspetto tragico in chiave ironica.
Le sculture e le tele di Giorgio Laveri si caricano nella loro totemica imponenza di un’ironia sagace che ci spinge magneticamente ad avvicinarci, a scrutare, a fotografare questi giganti del quotidiano vivere. Ma che tuttavia nel profondo delle infinite cromìe proposte dall’artista savonese, celano un’ombra, un vuoto profondo che pone lo spettatore sotto il giogo del gigantismo laveriano. Imbrigliando le nostre emozioni. Vincolando i nostri occhi ad un’indagine visceralmente coinvolta e tesa a cogliere un messaggio recondito e nascosto all’interno di questi colossi ceramici. Solo allora, dopo aver demolito l’ineccepibilità delle forme, la luce fulgida degli smalti policromi e la nostra ombra celata nei riflessi dell’oro e del platino, ci troveremo soli davanti al pensiero e all’idea cardine di queste opere d’arte. Oggi Laveri propone tutto il suo infinito universo artistico al pubblico di Padova. Città che è ormai la sua seconda casa e che nel corso della sua lunga carriera lo ha ospitato non solo nell’annuale appuntamento di ArtePadova ma anche nelle numerose esposizioni e performance organizzate dalla Galleria Rossovermiglio. Da Sala giochi nel lontano 2006 a Un caffè con… passando per la storica performance del CilieGiotto. Oggi grazie a Rossovermiglio ed ArtePadova possiamo affondare le nostre iridi nelle luci riflesse e nelle linee eteree di queste sculture esponenziali.
In questa antologia della sua produzione storica, Laveri satura il nostro vedere. Una tira l’altra, ciliegie immense per golosi insaziabili. Pont des arts, lucchetti inviolabili per amori eterni. Truka, rossetti a misura di cinema. Moka, pura italianità allo stato liquido prodotta da una totemica caffettiera in oro e platino. Oppure Gustavo, piccolo carro armato giocattolo di soli trentacinque centimetri con cui far giocare i vostri irrefrenabili figli. Ecco in queste opere risiede la vera chiave di lettura di queste sculture.
Queste sculture non rappresentano un mondo reale ma con ferocia propongono una critica di matrice diametralmente opposta. E allora il Truka è in realtà il simbolo di una bellezza effimera che quotidianamente ci viene proposta dal cinema, dalla TV e dai social. Bellezza che ci appare così lontana, immensa e inarrivabile ma che tuttavia ci attrae magneticamente a sé. Bellezza che ciò nonostante nasconde al suo interno una fragilità ed un’assenza incolmabile che Laveri propone magistralmente realizzando i rossetti nella fragilissima materia ceramica e lasciando all’interno delle sculture un vuoto tremendamente abissale. Le ciliegie diventano rappresentazioni consumistiche di un uomo vorace che aliena il proprio vivere cedendo all’istinto del consumo sfrenato. La caffettiera in un periodo di incombenti nazionalismi incarna i costanti slogan patriottici di una supposta perfezione e superiorità italica. Il lucchetto si erge ad ultimo baluardo di un perduto amore romantico che pur di sopravvivere è costretto ad ancorarsi su uno sperduto ponte francese. Infine i carri armati che oggi più che mai simboleggiano un mondo che irrimediabilmente e progressivamente si discosta dalla vita, dove la guerra diventa un gioco, dove persone lontane in paesi remoti sono pedine in balia dei nostri carri armati, mentre noi rimaniamo spettatori indignati di questo atroce gioco quotidiano.
David Melis